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Edoardo Bennato, anima rock

Dagli esordi musicali agli ultimi lavori, il percorso lungo tutta la carriera di Edoardo Bennato. Di seguito, l'intervista integrale al rocker napoletano.



Intervista Edoardo Bennato


Partiamo da quello che è il tuo diciottesimo album in studio, nonché il tuo ultimo album composto interamente da inediti: “Pronti a Salpare”. Cosa significa questo lavoro per te? Chi, al giorno d'oggi, dovrebbe essere pronto a salpare?

"Con “Pronti a Salpare” ho voluto esprimere un messaggio ben preciso rispetto ai tempi che corrono. L'invito che questo album, e ancora prima questo singolo rappresentano, non è rivolto alle persone che attraversano il Mediterraneo: loro scappano comunque dalla fame, dalla miseria, da un inferno che non riusciamo neanche ad immaginare e concepire. Ecco così che “Pronti a Salpare” diventa un invito rivolto a noi stessi, un monito che spinga tutti noi a prendere atto di ciò che sta succedendo, per cercare, attraverso il confronto e lo scambio con gli altri, di risolvere questo problema, in tempi brevi e meno traumatici possibili. È inconcepibile, inaccettabile e anche pericoloso che al giorno d'oggi ci siano così tante disuguaglianze al mondo."


Quindi “Pronti a Salpare”, il singolo che dà il nome all'album, affronta il tema delle migrazioni: per questo motivo, nel 2015 ha vinto il premio Amnesty International Italia come miglior brano dedicato ai diritti umani. Come mai hai scelto di dedicare questo premio a Fabrizio De André?

"Con Fabrizio ho sempre avuto un'intesa molto forte. A lui piaceva molto il fatto che il mio staff è da sempre formato da amici d'infanzia. Essere svincolato da certi meccanismi perversi del mondo della musica, come non avere un manager e una casa discografica che mi stesse alle calcagna, erano dei fattori che lui apprezzava tanto, nei quali si ritrovava molto: lui stesso infatti era una persona assolutamente antitetica rispetto a certi vincoli musicali, verso i quali si è sempre schierato contro. Questo lo ha portato ad essere solidale con noi: Fabrizio mi ha dato davvero tanti consigli durante il periodo in cui ci siamo frequentati. Ho deciso di dedicargli questo brano perché penso che a lui sarebbe piaciuto molto."



Intervista Edoardo Bennato


“Pronti a Salpare” non è, però, l'unica dedica del tuo album: “La calunnia è un venticello”, il cui titolo è una citazione di Gioacchino Rossini, è dedicata a Mia Martini e Enzo Tortora, mentre “Non è bello ciò che è bello” è dedicata a Luciano Pavarotti. Cosa ti lega a questi tre celebri personaggi italiani?

"Sono tutti personaggi con cui ho avuto a che fare: Mia Martini ha cantato un mio brano (Tutto sbagliato baby, ndr) ed Enzo Tortora l'ho conosciuto quando ero bambino, perché presentava un festival nel quale ero ospite con i miei fratelli. Mi hanno rapito le loro storie. Di Enzo Tortora mi colpì moltissimo il fatto tremendo che tutti conosciamo (il "caso Tortora", ndr): quando seppi la notizia, all'inizio pensai che fosse uno scherzo, anche se purtroppo così non è stato. Ricordo molto bene i titoli di alcuni giornali di allora: in prima pagina riportavano frasi ad effetto per voler dare risalto a ciò che, alla fine, si è scoperto non essere mai accaduto. La calunnia è tremenda: talvolta con la sua forza riesce a sommergere anche la verità. Basta mettere in giro una voce non vera che col tempo, come un venticello, può spargersi e moltiplicarsi, fino a sommergerti. Lo stesso discorso vale, ahimè, per Mia Martini: qualcuno mise in giro la voce che lei portasse sfortuna e il resto, anche in questo caso, è una storia che purtroppo tutti conosciamo. Per il grande Luciano Pavarotti, il discorso è diverso: la mia dedica non nasce da un movente negativo nei suoi confronti, come negli altri due casi. Siamo diventati molto amici da quando ho partecipato all'evento Pavarotti & Friends, nel giugno del 1996: in quell'occasione eseguii “Dotti, Medici e Sapienti” e “Le ragazze fanno grandi sogni”, quest'ultima su sua esplicita richiesta. L'esibizione lo colpì molto, tanto che a fine concerto mi disse come “Dotti, Medici e Sapienti” rappresentasse perfettamente il trait d'union fra la musica cosiddetta classica, che era il perno dell'evento, e il rock. Da quel momento abbiamo cominciato a frequentarci e, sempre su sua esplicita richiesta, scrissi per lui il brano “Non è bello ciò che è bello”. Tuttavia, alla Decca, la casa discografica con cui lavorava, dissero che era un brano troppo allegro, troppo "leggero" per uno come lui, motivo per il quale non poté mai cantarlo. Del resto, era stato proprio lui a dirmi: “Fammi un pezzo che sia allegro, visto che mi fanno cantare sempre canzoni tristi”. Ho infine deciso di inserire il brano in questo mio album, e la dedica mi sembrava, oltreché un fatto spontaneo, anche doveroso."



Nel novembre del 2017, in occasione del 40° anniversario dell'album, è uscita un'edizione speciale di “Burattino senza fili” che, rispetto all'originale, contiene il brano inedito “Mastro Geppetto”, oltre alle canzoni “Lucignolo” e “Che comico il grillo parlante”. Come mai hai sentito l'esigenza di aggiungere questi brani? Quanto è attuale, ancora, il messaggio che già lanciasti con questo album nel 1977?

"Mi accingo a fare un musical che, appunto, è ispirato a questo storia: questi personaggi mancavano a questa mia interpretazione e ho quindi deciso di completare il quadro. Mancava, in particolar modo, la figura di Lucignolo: è l'unico che è svincolato da certi meccanismi dell'industria musicale, l'unico che riesce a sottrarsi al Gatto e alla Volpe, al Grillo Parlante e a Mangiafuoco. Nel mio musical e prima ancora nel mio album, Lucignolo lo vedo un po' come i ragazzi extracomunitari di oggi che vivono nelle periferie italiane: anche se sottoposti ad uno stress pazzesco legato a determinate situazioni tipiche purtroppo delle nostre periferie, riescono, non fidandosi di nessuno, a sgamare tutti quanti e quindi anche, metaforicamente parlando, il Gatto e la Volpe, il Grillo Parlante e Mangiafuoco. Si fidano soltanto di sé stessi e della propria rabbia, che molto spesso li porta ad essere, in questo senso, creativi. Ritengo tutto ciò che ho scritto ancora molto attuale. Anzi, se possibile, più andiamo avanti e più lo è sempre di più."



Intervista Edoardo Bennato


Nel 1977, con circa un milione di copie vendute, “Burattino senza fili” fu l'album più venduto in Italia: questo basterà a farti sorridere nel ricordare che, il tuo primo album, “Non farti cadere le braccia”, non vendette neanche una copia quando venne pubblicato, nel 1973. Come si è accorto di Edoardo Bennato il mondo della musica?

"All'uscita di “Non farti cadere le braccia”, il direttore di allora della Ricordi, la casa discografica che pubblicò il mio album, mi licenziò. Capii fin da subito che non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che viene trasmesso, diffuso e promosso dai mass media. A Londra, dove ero stato qualche mese prima, mi ero costruito un tamburello a pedale: mi piazzai in un posto strategico a Roma, ossia davanti agli studi televisivi della Rai, dove sapevo che sarebbero passati degli addetti ai lavori in ambito musicale. Eseguivo dei pezzi molto punk, come “Ma che bella città”, “Salviamo il salvabile”, “Arrivano i buoni”, “Uno buono”. Fortunatamente, passarono di lì delle persone che si accorsero di me, tra i quali c'era anche il grande Renzo Arbore. Così mi segnalarono al giornale «Ciao 2001» che mi dedicò molte copertine, facendomi così da trampolino di lancio per arrivare, quell'estate, ad un festival a Civitanova Marche. Era uno dei grandi raduni collettivi di allora, organizzato da alcuni artisti antagonisti al sistema come Franco Battiato, Claudio Lolli e Claudio Rocchi. Fu proprio nell'ambito di questo festival, dove eseguii quelle stesse quattro canzoni per cui ero stato notato, che ricevetti quella "patente" che mi era stata negata dal mondo della musica istituzionale: fu quindi il mondo alternativo, della controcultura, a considerarmi per la prima volta un cantautore degno di chiamarsi tale. Ricordo che quello stesso anno feci a Pisa un grosso evento legato a Lotta Continua, una delle organizzazioni più in voga di allora, che si occupava anche di gestire alcuni eventi culturali come, appunto, i concerti. Grazie all'entusiasmo di questi ragazzi appartenenti a questa entità politica, o pseudo-politica, mi è stata data la possibilità di portare sul palcoscenico le mie canzonacce, o per meglio dire, canzonette."


Napoli, la tua città di origine, ritorna molto nelle tue canzoni. Senza Napoli, chi sarebbe oggi Edoardo Bennato?

"Beh, chi può dirlo? Sicuramente Napoli è la città ideale per fare rock, una megalopoli piena di tensioni e di conflitti sociali. Tutti ingredienti fondamentali per far fiorire questo genere musicale, che per definizione trae linfa da situazioni di disagio sociale. Al contrario della musica leggera, che ha lo scopo di aiutare, chi la fa e chi l'ascolta, ad evadere, a non pensare e a distrarsi, il rock ha una genesi, e quindi una vocazione, diversa: prolifera da sempre grazie a dei contesti turbolenti, e Napoli è una città perfetta da questo punto di vista. Ho cominciato ad utilizzare per primo, nel 1976, il dialetto napoletano, nel brano “Ma chi è?”, un pezzo ironico e tagliente contenuto nell'album “La Torre di Babele”; ho fatto un film intero con Renzo Arbore e Lino Banfi (Joe e suo nonno, ndr), in cui raccontiamo gli eterni paradossi di questa città. Io amo Napoli e per essere propositivo nei confronti della mia città devo ironizzare su questi temi, perché è proprio usando questo tipo di linguaggio in riferimento a certi argomenti che si innescano dei meccanismi di reazione da parte delle fasce giovanili, alle quali sono molto affezionato."


Quali sono, per concludere, i tuoi progetti futuri? Uscirai con il nuovo album entro la fine dell'anno?

"Stiamo lavorando molto intensamente al nuovo album, cercheremo di finirlo il prima possibile. Per adesso, penso a questo tour estivo, che farà tappa in molte località italiane, da nord a sud Italia: il rock è assicurato."



Foto di Fabio Martini.

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